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Giovanbattista Spolverini 1758

Scrittori sui disboscamenti



Già lo Spolverini invocava contro i disastri provocati dai disboscamenti....

Spolverini lo affronta esaminando i rapporti tra rivestimento forestale delle aree montane e sicurezza delle pianure dai disordini idraulici. La pressante richiesta di legnami da parte degli arsenali della Serenissima e la fame di terra dei contadini, gli impulsi che sospingono gli arativi ad altitudini sempre maggiori, hanno innescato processi di degrado idrogeologico che procedono ad un ritmo di controllo sempre più difficoltoso. Facendo eco ai primi allarmi degli uomini di scienza e dei responsabili di governo, Spolverini proclama che è nella distruzione dei boschi e nella contrazione dei pascoli che deve ricercarsi la prima causa della frequenza crescente delle alluvioni che dilagano nelle pianure italiane:


«Poco spazio o terren resta a gli armenti,
E già, toltosi il più, gli ultimi avanzi
L'aratro vincitor de' paschi agogna:
Nè tra brevi ristretto erbose macchie,
Al bifolco il pastor ragion contende.
Ma (quel che ignoto esser un tempo, o strano
Solea) de' gioghi a le più eccelse cime
Co' vomeri per fin s'è giunto: e dove
Con mirabil lavor Natura cinse
D'altissime foreste e boschi annosi
(Insuperabil siepe) i monti e l'alpi,
Per difender i colti aperti piani,
E 'l difetto adempir di travi e legna;
Dove mille e mill'altr'erbe, e radici,
Di sapor, di virtù, d'aspetto varie,
E di fere e d'augei popolo immenso
Ripose ed annidò, per vitto ed agio
Nostro e piacer e vestimento ed uso:
L'uom solo (o sempre al proprio danno, e sempre
Contro 'l vero util suo disposto e pronto
Umano ingegno!) l'uomo solo, o sia
Di novità piacer, o ingorda brama,
O mal nato del core impeto, il vecchio
Costume, e 'l natural ordin sconvolto,
Non con le scuri solo, o con le faci
Via s'aprì colà su (di rischi e affanni
Nulla curando) a desolarne i vasti
Selvosi tratti, e i smisurati dorsi
Di cenere a coprir, con onta, e atroce
Ira e dolor de la gran Madre Idéa;
Ma con la stiva inoltre, e con la grave
Mole de' tardi buoi, con vanghe, e zappe...»

 

 

Fedele ai canoni classici, enunciati in termini naturalistici rapporti tra manti forestali e regime dei corsi d'acqua, il poeta veronese li trasfonde in leggenda, immaginando che dei disboscamenti perpetrati dagli uomini per estendere i seminativi sacri a Cerere, dea delle messi, Diana, dea delle foreste, si lamenti al padre Giove. Commosso dalla supplica della figlia, il signore dell’Olimpo dirige sulle terre dissodate la fiumana delle acque. Nell'evocazione della furia degli elementi riconosciamo, trascritta non senza vigore poetico, l'immagine della tempesta di Virgilio: è una delle pagine più efficaci dell'opera del marchese veronese:


«E da quel dì tolto ogni freno, dove
Lor fu aperta la via, rapidamente
Sospinti da la Dea, scesero al piano,
Venti, turbini, e nembi, onusti i vanni
Di grandini e procelle alto sonanti,
Miste a folgori e tuoni (ché contrasto
Non trovàr più ne le recise braccia
De gli atterrati frassini, de i vasti
Divelti abeti, de i già tronchi faggi,
De gli aceri, de gli orni) a versar quanti
Pon volando rapir da gorghi, e stagni
L'ampie nubi, e dal mar diluvj d'acque,
A inondar le campagne, a render vane
De' pii cultori le speranze e l'opre;

Quercophilus
Carlo Papalini
Via Madonna del Perugino, 8
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